Come abbiamo riprogettato l’homepage di Repubblica.it
Semplificazione, co-design e lean user experience design: questi i principi che hanno guidato il re-design della homepage di Repubblica.it. Ce lo racconta Federico Badaloni, responsabile dell'architettura dell'informazione del Gruppo Editoriale L’Espresso.
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Il 27 febbraio Repubblica.it ha lanciato una nuova homepage. Sintetizzerei il succo di questa operazione in un verbo: togliere. Togliere il superfluo per dare spazio all’essenziale, alleggerire per favorire l’orientamento e la comprensione. Ho chiesto maggiori dettagli sul re-design a Federico Badaloni, responsabile dell’area di progettazione di siti e applicazioni del Gruppo Editoriale L’Espresso.
Togliere
Luca. Le homepage dei principali quotidiani italiani sono in genere molto dense di informazione, talvolta rischiando il sovraccarico. Mi riferisco non tanto agli articoli in senso stretto, ma ai menu e call-to-action che invadono la testata. In questo senso la nuova homepage di Repubblica sembra andare in controtendenza: tanto bianco, un solo menu visibile – quello degli argomenti del giorno, e tutto il resto nascosto in un hamburger menu.
Federico. In effetti, come ci diciamo tante volte, la homepage di un sito ha cambiato nel tempo la propria funzione perdendo progressivamente il ruolo di “portale”. Noi abbiamo voluto cogliere questa opportunità per concentrare la progettazione sulla funzione principale svolta da questa pagina nell’ecosistema informativo di Repubblica.it: comunicare alle persone le cose importanti che stanno succedendo in queste ultime ore in Italia e nel mondo. In quest’ottica, la parte visibile del menu risponde al bisogno di un’utenza che voglia ricevere un’informazione sintetica che sia coerente con la funzione generale della pagina: capire quali sono gli argomenti salienti oggi.
In termini un po’ più tecnici, le parti visibili di un sito sono destinate alle persone che hanno una disposizione d’animo piuttosto passiva rispetto al sito. Gli americani direbbero che si tratta di un atteggiamento lean back. Le parti di un sito che si raggiungono intenzionalmente, come ad esempio accade per le voci del menu che si aprono soltanto cliccando sull’icona dell’hamburger, rispondono invece ad una disposizione d’animo decisamente più attiva, cioè lean forward. In altri termini, siamo partiti dall’assunto, poi confermato dai test e successivamente dall’analisi dell’effettivo utilizzo del sito, che quando le persone hanno in mente un’esigenza informativa specifica siano disposte a fare un click per soddisfarla. Il design poi è venuto di conseguenza.
Un sito più usabile per tutti: redattori e lettori
Luca. Quali sono stati i principali obiettivi che hanno guidato il re-design?
Federico. Possiamo distinguere i nostri obiettivi in due insiemi:
- rendere la pagina più facilmente comprensibile e navigabile
- mettere la redazione nelle condizioni di svolgere un servizio migliore.
Per quanto riguarda il primo tipo di obiettivi, con tutto il team abbiamo ad esempio reso più stringente – ed evidente – la funzione narrativa dei diversi blocchi presenti in pagina e abbiamo diminuito il carico cognitivo richiesto per comprenderne i diversi elementi. Dal punto di vista infrastrutturale, quindi sul fronte degli strumenti redazionali, abbiamo lavorato molto per consentire ai giornalisti di configurare i diversi blocchi che costituiscono la homepage in maniera tale da rappresentare al meglio le diverse notizie e i diversi temi che vengono via via affrontati. Per fare un esempio, abbiamo dotato ogni area tematica visibile in pagina di diversi formati e di diversi layout grafici, consentendo alla redazione di configurarli facilmente attraverso il sistema editoriale.
Con Francesca Caprioli, che ha rappresentato l’architettura dell’informazione nei lavori quotidiani del team, abbiamo utilizzato nel design i principi di base della progettazione funzionale che ho descritto nel mio libro Architettura della comunicazione.
Co-design e lean user experience design
Luca. Da quanto racconta Repubblica stessa, i lettori sono stati coinvolti nella riprogettazione in più fasi. Ci puoi dire qualcosa di più sul metodo? Si può parlare di design collaborativo?
Federico. In realtà l’approccio collaborativo non è stato solo all’esterno con i lettori, ma anzitutto all’interno con le varie anime di Repubblica.it. Abbiamo creato un team di lavoro misto, formato da un rappresentante di ogni area del giornale: redazione, business, grafica, tecnologia, project management e user experience. Abbiamo inoltre adottato un metodo lean di user experience design, fatto di brevi cicli progettuali reiterati più volte. Ecco perché oggi più che di user-centered design si dovrebbe parlare di stakeholder-centered design. Al di là delle etichette, occorre progettare per tutti gli attori a vario titolo coinvolti in un prodotto o servizio: solo così si possono armonizzare gli obiettivi aziendali e quelli del pubblico.
Abbiamo chiesto agli utenti di collaborare dapprima via mail, indicandoci le loro esigenze, le loro aspettative e i loro suggerimenti. Lo abbiamo fatto chiedendo loro di mandare una mail, perché interazioni più immediate avrebbero rischiato di farci pervenire riflessioni più superficiali. I risultati ci hanno dato ragione: nessuna delle mail che abbiamo ricevuto era stata scritta con un linguaggio offensivo. In ogni mail abbiamo trovato un suggerimento utile. Il thread di commento che si è generato su Facebook relativamente a questa iniziativa è stato invece pieno di troll!
In una seconda fase abbiamo inviato a tutti coloro che ci avevano inviato una mail l’invito a vedere la nuova homepage in ambiente di test e a inviarci feedback. Anche questa seconda fase è stata un successo: abbiamo avuto ottimi spunti per migliorare. Ovviamente, prima di rilasciare la versione di test, per le interazioni più critiche abbiamo fatto test di usabilità su prototipi.
Elogio della semplicità
Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata. […]
Riduci quello che puoi e nascondi tutto il resto senza perdere il senso del valore intrinseco dell’oggetto. […] Design, tecnologia e business lavorano insieme per convergere su una decisione finale che porti a stabilire quanta riduzione nelle dimensioni di un prodotto sia tollerabile, e quanta qualità esso possa incorporare a dispetto del ridimensionamento (John Maeda, Le leggi della semplicità, pp. 13, 23).
Una delle cose che la gente è sempre tentata di fare quando c’è un problema di usabilità è aggiungere qualcosa: se qualcuno non ha capito le istruzioni, aggiungiamone di nuove; se qualcuno non ha trovato ciò che cercava nel testo, aggiungiamo testo […]
Ma molto spesso il modo migliore per risolvere problemi di usabilità è il comportamento esattamente opposto: togliamo qualcosa, eliminiamo degli elementi dalla pagina.
Il vero problema è che molto sovente c’è troppo; la maggioranza delle pagine ha elementi di ogni genere di cui l’utente non ha bisogno: troppe parole, troppe immagini irrilevanti – troppo “rumore” […]
Se il vostro primo istinto è di aggiungere qualcosa mettetelo in discussione: di solito è meglio togliere (Steve Krug, Usabilità. Individuare e risolvere i problemi, p. 117).