Emotional design
Il sito di Apogeo pubblica giustamente la bella introduzione di Sebastiano Bagnara all'ultimo libro di Norman, Emotional Design, appena uscito in italiano per i tipi di Apogeo.
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Il primo merito di questa introduzione è quella di sgombrare il campo dalle dicerie generizzanti secondo cui l’ultimo libro di Norman sarebbe una sorta di capovolgimento delle tesi del Norman più classico che i più conoscono — da La caffettiera del masochista a Il computer invisibile. Ma Emotional Design non è una autocritica. Viceversa, è l’evoluzione naturale di un percorso di ricerca che si apre al design di una tecnologia “addomesticata”, quotidiana che arricchisce le esperienze di vita
.
Il resto mi pare perfettamente condensato in questo passaggio.
Le relazioni fra ergonomia e design vengono riformulate: entrambi debbono guardare all’utente, destinatario del processo di progettazione. È l’utente il solo esperto di sé, del suo modo di vivere e di lavorare. La psicologia può offrire degli strumenti che lo possono aiutare nell’esprimere, comunicare questa expertise, che è in gran parte tacita, e quindi muta: si può mostrare ma non dire. Gli individui sono tutti differenti, progettare per l’utente significa progettare quindi per la personalizzazione.
“Siamo tutti designer”, sostiene in questo libro Norman. È la fine della progettazione del prodotto massa, che ha come obiettivo la soddisfazione dei bisogni basici e comuni. La progettazione punta a dare forma ai desideri. E nulla è più personale, individuale dei desideri. Gli individui però sono differenti non solo gli uni dagli altri, ma esibiscono anche comportamenti diversi in contesti diversi. Solo un’analisi del comportamento che adottano nelle diverse attività può permettere di cogliere cambiamenti e specificità legate ai vari contesti e alle varie attività. Proprio per dar conto delle variazioni del comportamento umano in contesti diversi vengono coinvolte l’antropologia e le metodologie della raffinata osservazione etnometodologica. Solo l’analisi multidisciplinare consente di progettare gli strumenti adatti nei diversi contesti.
La nozione di contesto introduce il terzo passaggio nel percorso intellettuale di Norman, quello caratterizzato dall’approccio di cognizione distribuita. Se uno strumento è ben progettato “mi dice”, in modo immediato, cosa è, a cosa serve, che azioni posso fare e quali non posso fare con esso. Nel gergo degli psicologi e degli ergonomi cognitivi, tutto questo viene riassunto con il termine affordance. Uno strumento possiede la qualità dell’affordance se nel momento che percepisco, intuisco che azione debba fare e posso automaticamente prevedere il risultato che otterrò. Il possesso della qualità dell’affordance è la caratteristica che qualifica il buon design. La sua assenza rende difficile capire che cosa è, può condurre ad errori nell’uso, non riuscire a comprendere che cosa si è ottenuto.
La prefazione di Sebastiano Bagnara al libro di Norman, Emotional Design: Un percorso verso le emozioni