L’evoluzione dello UX designer: scenari

Il lavoro dello UX designer si sposta verso i livelli più alti della progettazione, e contemporaneamente si diffonde capillarmente in tutti i contesti aziendali: meta-design, enterprise UX design, facilitazione sono alcuni dei possibili scenari evolutivi.

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Indice

Contesto

La UX sta diventando pervasiva e si sta diffondendo in tutti gli aspetti del business – Jakob Nielsen

Ubiquitous computing e intelligenza artificiale hanno dilatato i confini dello user experience design, ma nello stesso tempo li hanno resi più incerti. Quando progettiamo esperienze distribuite su più dispositivi, dobbiamo abbandonare la pretesa di un controllo pieno sull’ecosistema, che in quanto tale è aperto. Lo stesso accade con l’intelligenza artificiale, in particolare quella generativa: progettare per e con l’intelligenza artificiale significa abbracciare un certo margine di incertezza, rinunciando a un controllo puntuale sull’interazione finale. Da evento perturbante, l’incertezza sembra essere uno dei nuovi paradigmi con cui necessariamente fare i conti. In questo quadro la figura e il ruolo dello UX designer sono destinati a evolvere. Ecco allora alcuni possibili scenari futuri per la professione di (UX) designer.

Scenari

Più che profili in senso stretto, ciò che ho cercato di tratteggiare di seguito sono aree di azione, possibili scenari evolutivi. Ciascuno cerca di catturare una particolare tendenza in atto, che non necessariamente corrisponderà a un profilo specifico.

Meta-designer

Meta-designer designs the thing that designs the thing (il meta-designer progetta ciò che serve per progettare il prodotto finale – la traduzione italiana non rende come l’originale). Si tratta di una figura che lavora a un livello più alto, più astratto della progettazione. Anziché progettare app, siti, software, il meta-designer definisce metodi, euristiche e linee guida di livello alto che guidano la progettazione di livello più specifico. Quanto più complesso sarà l’ecosistema di prodotti e servizi intrecciati fra loro, e quanto più l’intelligenza artificiale svolgerà compiti esecutivi di livello basso, tanto più il ruolo dell’experience designer si focalizzerà su aspetti strategici di livello alto.

Quanti dispositivi popolano la nostra quotidianità? Con o senza schermo, collegati o meno a ecosistemi di altri dispositivi. E quanti ne appariranno ancora? Come cambieranno con l’intelligenza artificiale? La tecnologia cambia in modo estremamente rapido; viceversa, la natura umana rimane piuttosto stabile. Possiamo allora sviluppare competenze di design meno soggette al tempo, spostando il fuoco dalla progettazione di interfacce alla progettazione di modelli.

I modelli sono idee sul mondo: come potrebbe essere organizzato e come potrebbe funzionare. I modelli descrivono le relazioni: le parti che compongono l’insieme, le strutture che le legano e il modo in cui le parti si comportano l’una con l’altra. Ma soprattutto, i modelli possono essere progettati (Jorge Arango, Shaping the Future of Design).

Meta è la parola chiave che racchiude in sé tutti gli scenari descritti di seguito; in tutti casi infatti il lavoro del designer fa un salto: al di là, oltre il design; o al di sopra, design del design.

Enterprise UX designer / UX strategist

L’enterprise UX design abbraccia l’intera sfera dei processi e dei dei flussi informativi interni all’organizzazione – compresi quelli del design stesso. L’enterprise UX designer si concentra sull’ottimizzazione dell’esperienza interna all’organizzazione, più che sul miglioramento dell’esperienza delle persone con i prodotti e servizi esterni. Questa figura fa da ponte tra le diverse competenze e funzioni aziendali, e contribuisce a creare un ecosistema coeso e funzionale.

Enterprise UX designer è un’etichetta mia, ricalcata su Enterprise information architect. Altre definizioni usate per figure, scenari simili sono UX strategist, Coherence generator (vedi riferimenti in fondo).

È un allargamento della user experience che sposta il fuoco dal prodotto o servizio all’intera organizzazione, dall’esterno all’interno. Tuttavia l’opposizione esterno/interno è solo apparente: l’esperienza che i clienti fanno dei prodotti e servizi offerti dall’azienda dipende anche e molto dall’esperienza che si vive internamente all’azienda stessa. L’Olivetti di Adriano Olivetti ne era un esempio: per Olivetti tutto doveva essere funzionale a garantire benessere, etica, soddisfazione. Il luogo di lavoro, i servizi per i dipendenti, l’abbattimento dei silos fisici e di pensiero, tutto concorreva a creare un ecosistema virtuoso: lavorare in un ambiente gratificante portava anche a progettare e costruire prodotti d’eccellenza. Nella visione di Olivetti l’idea stessa di impresa si dilata per abbracciare la città, la comunità e la società intera; e viceversa.

[Trascrizione del video] Le fabbriche della tradizione italiana sono sempre state piuttosto modeste, Adriano Olivetti ha rappresentato l’eccezione. Il problema era di essere circondati e avvolti nella luce. L’ambiente di lavoro doveva essere luminoso per un fatto psicologico, sociologico e anche produttivo. Tutto sommato significava vivere insieme agli altri, vederli, e quindi potere anche rivolgere la parola a uno che stava vicino. Dava sempre questo senso di poter far parte di un paesaggio e non di una prigione (Edoardo Vittoria, architetto).

Facilitatore (del cambiamento)

Da produttore a facilitatore: si potrebbe sintetizzare così questa evoluzione. L’experience designer più che progettista di artefatti diventa abilitatore di processi, abilitatore del cambiamento. Accompagna aziende e organizzazioni verso il cambiamento, le aiuta a consolidare il team di design interno, o a rendere più fluida la collaborazione fra i vari team.

In questo quadro, la user research diventa strategica: le statistiche mostrano che i ruoli di UX design maggiormente focalizzati sulla ricerca sono in crescita rispetto a quelli dedicati al design in senso stretto. La ricerca fornisce informazioni cruciali capaci di guidare la progettazione e far sì che prodotti e servizi rispondano effettivamente ai bisogni degli utenti.

33 funamboliche storie di facilitazione

La mia esperienza

Queste tendenze si riflettono compiutamente nei miei ultimi 5-7 anni di lavoro. In cui abbondano i casi di facilitazione verso il change management o la digital transformation; il re-design dei processi di design o di gestione dell’informazione; l’affiancamento all’azienda per costruire o consolidare il team di experience design.

Spesso non sono mai arrivato a progettare o anche solo a vedere realizzati gli ultimi livelli del processo, come wireframe, interfacce, app ecc. Anche perché altrettanto spesso il lavoro non riguardava un artefatto specifico, ma il metodo, i processi, la gestione dell’informazione all’interno dei processi stessi.

Insomma, ho scelto i pezzi da utilizzare, li ho organizzati, ho stabilito le regole di montaggio, ma poi la costruzione Lego l’hanno assemblata gli altri. E, come in ogni Lego che si rispetti, con gli stessi mattoncini è stato possibile creare più costruzioni. Facilitare, accompagnare, abilitare, orchestrare: sono questi i verbi che meglio descrivono i mutamenti in corso.

Riferimenti