Interfacce a misura d’uomo

Interfacce a misura d’uomo, di Jef Raskin è uno di quei libri che aprono la mente e che continuano a illuminare anche dopo ripetute letture. Una lettura fondamentale per tutti i designer, non solo quelli che lavorano nel settore digitale.

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Indice

Jef Raskin è stato uno dei maggiori esperti di interazione uomo-computer, creatore dell’interfaccia del Mac e del Canon Cat. Apogeo ha pubblicato Interfacce a misura d’uomo, traduzione italiana del suo libro The Humane Interface.

Interfacce a misura d'uomo

Il paradosso della tecnologia

Possiamo costruire un aereo con tutte le caratteristiche desiderate dal Ministero dell’Aviazione, e in qualsiasi combinazione, purché non sia necessario che ciò che si ottiene voli (Willy Messerschmitt – famoso ingegnere aeronautico tedesco della II guerra mondiale – citato in Jef Raskin, Interfacce a misura d’uomo, p. 7).

È quello che Donald Norman in La caffettiera del masochista definisce paradosso della tecnologia, il cui effetto più nocivo è la “proliferazione strisciante delle funzioni”. Nata con lo scopo di semplificare la vita all’uomo, la tecnologia a un certo punto rischia di avvilupparsi su se stessa, autogratificandosi con l’aggiunta continua di nuove e spesso inutili funzioni. Tradotto nel mondo del software, è lo stesso problema che rileva Walter Vannini (nella presentazione del libro) quando parla di autoreferenzialità del software. Da strumento utile, software e siti web divengono status symbol, oggetti di un culto settario dove la rincorsa all’ultima versione e all’ultima feature rimpiazza ogni pretesa di utilità.

ecco svelato il nocciolo della questione, il motivo che rende possibile questa allucinazione consensuale grazie alla quale continuiamo ad accettare nel software difetti che troveremmo inconcepibili in un frullatore (Walter Vannini, Prefazione).

Le interfacce a misura d’uomo

La risposta a tale mistificazione è il concetto di interfaccia a misura d’uomo, la nozione portante di tutta la riflessione di Raskin.

Una interfaccia è a misura d’uomo se è sensibile alle necessità degli esseri umani e rispettosa delle loro fragilità (Jef Raskin, Interfacce a misura d’uomo, p. 7).

L’uomo è una creatura pensante, ma fallibile. Una buona interfaccia, allora, dovrà tener conto delle fondamentali caratteristiche di funzionamento della mente umana e, soprattutto, della fallibilità della natura umana. Da questo assunto di fondo derivano le leggi delle interfacce a misura d’uomo, che Raskin “ricalca” sulle leggi della robotica di Isaac Asimov.

Prima legge delle interfacce a misura d’uomo

Un computer non danneggerà il lavoro dell’utente né permetterà che, a causa del suo mancato intervento, il lavoro dell’utente venga danneggiato.

Seconda legge delle interfacce a misura d’uomo

Un computer non sprecherà il tempo dell’utente, né gli richiederà di compiere più azioni di quelle strettamente necessarie.

Il fuoco dell’attenzione

Il primo passo verso interfacce più a misura d’uomo consiste in una corretta valutazione del concetto di fuoco dell’attenzione:

l’oggetto, o il particolare del mondo fisico, o anche l’idea a cui stiamo pensando attivamente e di proposito. […] Attenzione, però: fuoco dell’attenzione, nell’accezione che ne diamo qui, si applica non solo al caso in cui prestiamo deliberatamente attenzione a qualcosa, ma anche al caso in cui percepiamo passivamente, senza focalizzare l’attenzione con un atto della volontà (Jef Raskin, Interfacce a misura d’uomo, p. 18).

Il fuoco dell’attenzione è unico. Questo aspetto è cruciale. Non è possibile cioè che due oggetti siano simultaneamente nel nostro fuoco attentivo. Non c’è modo di attivare un secondo fuoco dell’attenzione. La comprensione di questo semplice fatto basterebbe da sola a risolvere molti problemi di interfacce. Alcuni esempi?

Se una interfaccia è difficile da usare il fuoco dell’attenzione dell’utente si sposterà dall’obiettivo primario per cui sta usando quello strumento (ad esempio, scrivere un documento con un word processor, o collegare la videocamera al pc) all’interfaccia stessa. Ma questo viola in modo clamoroso ogni rispetto per il lavoro e il tempo dell’utente di cui si diceva sopra.

All’aumentare dello stress, “le persone si concentrano sempre di più su un numero sempre minore di aspetti dell’ambiente che le circonda, facendo sempre meno attenzione agli altri”. [… Così, più] un’operazione è critica, meno gli utenti si accorgeranno degli avvertimenti che li mettono in guardia da azioni potenzialmente pericolose. Un avvertimento del computer ha la massima probabilità di essere trascurato proprio quando è più importante che non lo sia; sembra un corollario umoristico alla Legge di Murphy, ma non lo è (Jef Raskin, Interfacce a misura d’uomo, p. 29).

Quante volte abbiamo chiuso di riflesso un avviso pop-up rendendoci conto subito dopo di aver scelto l’opzione sbagliata? Un esempio eclatante recente è quello del falso allarme di attacco missilistico alle Hawaii.

La metafora della scrivania e altro

Collegato al concetto di fuoco dell’attenzione è la critica, da parte di Raskin, all’uso generalizzato della metafora della scrivania nei personal computer.

I personal computer e le tecnologie da essi derivate utilizzano ampiamente la metafora di una zona centrale di disimpegno, detta scrivania o desktop, dalla quale si possono lanciare numerose applicazioni. Di norma, al momento dell’avvio, un computer visualizza la scrivania, anche se alcuni computer possono essere regolati per avviare un insieme predeterminato di programmi; all’uscita da un programma, si torna alla scrivania. Questa strategia di interfaccia è inefficiente e non a misura d’uomo. Il motivo è ovvio: quando si chiude un’applicazione si vuole (1) tornare all’operazione che si stava facendo prima o (2) fare un’altra operazione. Nei sistemi attuali, basati sulla metafora della scrivania, dobbiamo sempre specificare che cosa vogliamo fare, anche se si tratta di riprendere qualcosa che abbiamo lasciato momentaneamente in sospeso. […]

Analogamente, quando torniamo su un sito Web, sarebbe quasi sempre meglio ritornare all’ultima pagina che abbiamo visitato anziché alla homepage, che sarebbe comunque raggiungibile con un solo clic (sempre che il sito sia stato progettato decentemente). Lo stesso ragionamento ci porta ad affermare che quando apriamo un documento con un word processor, dovremmo trovarci nello stesso punto del documento in cui ci trovavamo l’ultima volta che l’abbiamo chiuso o salvato.

Il Canon Cat aveva la caratteristica di ripresentarsi all’utente nelle stesse identiche condizioni in cui era stato lasciato (Jef Raskin, Interfacce a misura d’uomo, p. 34).

Si comportano in questo modo (corretto) software come OpenOffice, JEdit, il sistema operativo Mac OS. Ma sono un’eccezione rispetto ai tanti altri che si comportano non a misura d’uomo.

Su molte altri argomenti di questo libro sarebbe da soffermarsi:

  • il paradigma Nome-Verbo o Verbo-Nome nei comandi e nelle voci di menu
  • il modello GOMS per l’analisi quantitativa di interfacce
  • il mouse a un bottone.

Ma poiché nessuna recensione può sostituirsi all’originale, invito tutti a godersi lo stile ironico e tagliente di Raskin direttamente nel suo libro.

Per approfondire