Semplicità complessità
Cosa lega una tazzina da tè o un piatto da chef con il concetto di semplicità vs complessità? Due delle "leggi della semplicità" di Maeda ci offrono una chiave di lettura dal punto di vista della user experience.
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Il problema
Paola Kathuria ha sottolineato un problema di design che affligge spesso gli chef. Quando ricevono il piatto ordinato, molti clienti mangiano anche gli elementi decorativi (verdure, spezie, salse… utilizzate unicamente come guarnizione dell’alimento principale).
Lo chef Gordon Ramsay […] racconta di aver avuto problemi con alcuni piatti, tra cui uno di crostacei. Una coppia l’aveva ordinato e, quando il piatto è tornato in cucina, lo chef ha notato che i clienti avevano mangiato tutto, comprese le alghe [usate come decorazione del piatto] (Paola Kathuria, Food for thought).
Tutto sommato anche questo è un problema di user experience. Perché avviene? Probabilmente per una questione di prossimità e di affordance – nota Paola.
È un problema di funzionalità implicita dovuta all’associazione per prossimità. Ordini un piatto; ricevi più di quello che hai chiesto e lo consideri un bonus, quindi lo mangi. Ha senso (Paola Kathuria).
Le leggi della semplicità di Maeda
Probabilmente questo è vero. Ma a me la questione ha fatto venire in mente d’istinto la sesta legge della semplicità di Maeda.
Legge 6: Contesto.
Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.
[…] Se avessero a disposizione un’area sgombra o una camera in più, gli esperti di tecnologia inventerebbero qualcosa per riempirle; in maniera simile, gli uomini di affari non rinuncerebbero mai a una potenziale opportunità. Un designer, invece, sceglierebbe di fare del suo meglio per preservare il vuoto, perché crede che il nulla sia qualcosa di importante. L’opportunità persa a seguito dell’aumento dello spazio sgombro è compensata dalla maggiore attenzione per ciò che resta. Più spazio bianco significa che viene presentata meno informazione e, allo stesso tempo, che una maggior attenzione sarà dedicata a ciò che è stato reso meno disponibile. Quando le cose di cui disponiamo sono poche, le apprezziamo molto di più.
[…] Personalmente, ho provato questa sensazione durante una recente escursione nel Maine. Ho notato che i sentieri erano segnalati con dei rettangoli di un blu vivace. Ogni via era percorribile con facilità, grazie alle buone condizioni del terreno, ma ogni tanto mi fermavo a chiedermi “dove vado adesso?”. E quasi per magia uno di quei segnali blu, che in precedenza avevo relegato sullo sfondo del mio campo percettivo, “saltava” letteralmente in primo piano. Una volta ritrovata la direzione, tornavo lentamente alla meravigliosa vista della foresta, con la soddisfazione e la tranquillità tipiche di un’escursione in montagna (John Maeda, Le leggi della semplicità, pp. 77, 80, 86).
Presumendo che la pietanza principale stia (più o meno) al centro del piatto e la decorazione ai lati, potremmo applicare la legge stabilendo le corrispondenze: pietanza/centro del piatto = semplicità; decorazione = periferia.
Nel suo blog, Maeda riporta anche l’esempio di una tazza di tè verde, servita al bar con relativo piattino e una fetta di limone con bandierina.
Poco dopo il mio arrivo a Milano, ho ordinato un tè verde. Quando stavo per lasciare il caffè, mi sono reso conto che la decorazione che accompagnava il mio tè era funzionale: la mia mente l’ha interpretato come una specie di fiore invece che come una fetta di limone. Guardandolo ora, lo stuzzicadenti con la fetta di limone sembra segnalare una sorta di avvertimento per me di “stare lontano”; inoltre il tè verde normalmente non viene servito con il limone. C’era un miscuglio di contesti in competizione per la mia attenzione, e il mio jetlag non aiutava affatto (John Maeda, Lemon Flag).
La morale
La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra (John Maeda).
Insomma. Centro e periferia, pieno e vuoto, semplicità e complessità formano un ecosistema; non solo non si oppongono ma sono complementari gli uni agli altri.
Guidare inizialmente la scelta attraverso forme di organizzazione logica o tematica è una forma di semplicità; permettere di ampliare il campo della scelta, contestualmente al settore di interesse, è una forma di complessità: integrarle significa poter passare dal semplice al complesso, riducendo il tempo e lo stress. Spesso utilizziamo il termine “complesso” in un’accezione negativa, come sinonimo di “difficile/difficoltoso”, ma la complessità è un bene, il problema sta solo nel renderla esplorabile, praticabile.
Sfoglio i vocabolari.
Complesso significa “intrecciato”, “composto da più parti, interdipendenti tra loro”. La sua origine latina rimanda ad “abbraccio” e “abbracciare”.
Complicato significa “difficile, intricato, confuso”, “difficile da affrontare e da capire, che ha e pone problemi” (Luisa Carrada, Complesso vs Complicato).
È un’idea cui sono da sempre molto affezionato.
Per approfondire
- John Maeda, Le leggi della semplicità
- Il blog di Maeda, The Laws of Simplicity