Quattro strategie fondamentali di ricerca dell’informazione
Nonostante l'ampia varietà di strategie di ricerca dell'informazione, è possibile individuare quattro modelli comportamentali fondamentali a cui ricondurre tutte le diverse strategie.
Lettura: 5 minuti
Indice
- Strategie di ricerca dell’informazione
- Il principio del minimo sforzo
- Push vs. pull
- Per approfondire
Persone diverse cercano in modo diverso. Ma anche il medesimo individuo cerca in modo diverso in tempi o in contesti diversi. Gli obiettivi che muovono le nostre ricerche influenzano infatti in modo significativo la strategia secondo cui le ricerche stesse vengono attuate. Anche il contesto, i diversi stadi del customer journey, i modelli mentali e culturali propri di un singolo o di un gruppo incidono sulle sue abitudini comportamentali. Per questo motivo occorre che qualunque sistema informativo tenga conto e sappia adattarsi a queste diverse strategie di ricerca dell’informazione (information seeking behavior).
In una parola occorre che un sistema sia resiliente. Nei sistemi complessi, la resilienza è la capacità di un sistema di assorbire i fenomeni esterni (anche quando imprevisti o perturbativi) e di rimodellarsi di conseguenza, così da mantenere la stessa funzione, struttura, identità.
Nonostante l’ampia varietà di strategie di ricerca dell’informazione, è possibile individuare quattro modelli comportamentali fondamentali a cui ricondurre tutte le diverse strategie. Marcia Bates, una delle maggiori esperte di information seeking behavior, ha elaborato una matrice che integra gli aspetti sociali e culturali con quelli biologici e antropologici della relazione uomo-informazione, capace così di offrire un quadro unitario delle diverse strategie di ricerca dell’informazione.
Strategie di ricerca dell’informazione
Marcia Bates distingue quattro strategie fondamentali di ricerca dell’informazione, disposte in una matrice bidimensionale. I due assi della matrice indicano il grado di consapevolezza dell’individuo circa l’informazione ricercata (asse verticale) e il grado di volontarietà del processo di ricerca stesso (asse orizzontale). Per ciascuno di questi assi vengono distinte due modalità opposte:
- asse verticale – grado di consapevolezza circa l’oggetto ricercato, quanto siamo in grado di specificare a parole il nostro bisogno
- diretta – possiamo specificare cosa stiamo cercando, se pure con minore o maggiore precisione
- indiretta – non sappiamo specificare cosa stiamo cercando
- asse orizzontale – grado di volontarietà
- attiva – ricerca attiva di un’informazione
- passiva – acquisizione passiva di un’informazione (dal contesto, da altri ecc.).
Attivo | Passivo | |
Diretto | Searching | Monitoring |
Indiretto | Browsing | Being aware |
Dalle diverse combinazioni di tali modalità scaturiscono le quattro strategie fondamentali di ricerca:
- searching (ricerca mirata): ricerca attiva e consapevole di un’informazione specificabile
- monitoring (monitoraggio): capacità di assorbire dall’esterno informazioni di specifico interesse senza però cercarle direttamente; si tratta di una sorta di propensione alla serendipità
- browsing (esplorazione): non abbiamo uno specifico interesse o bisogno conoscitivo, ma ci esponiamo attivamente alla possibilità di acquisire nuove informazioni
- being aware (diventare consapevoli di qualcosa senza averla cercata): acquisizione passiva e indiretta di informazioni; passiva: sono le informazioni a venirci incontro, non siamo noi a cercarle; indiretta: non abbiamo esigenze conoscitive specifiche.
La frequenza con cui ciascuna strategia occorre nella nostra vita ci offre le riflessioni più interessanti. Circa l’80% delle informazioni che acquisiamo nel corso della nostra vita ci vengono attraverso la modalità di awareness; circa il 14% attraverso il monitoring; solo il 5% è acquisito mediante browsing e un esiguo 1% mediante searching.
La quasi totalità (94%) del nostro bagaglio conoscitivo deriva quindi da una modalità passiva di acquisizione dell’informazione.
Il principio del minimo sforzo
Il principio del minimo sforzo regola quindi il nostro sistema di information seeking. Al punto tale che spesso accettiamo anche contenuti di bassa qualità o affidabilità (se più facili da ottenere e usare) pur di non ricorrere a strategie di ricerca attive, le quali comportano necessariamente sforzi, tempi e competenze maggiori.
Ci siamo a lungo interrogati in questo campo [l’information seeking] su certe perversità del comportamento umano. Perché i medici, per ricevere informazioni su una nuova medicina, non consultano la letteratura di settore anziché fidarsi del rappresentante farmaceutico? Perché i nostri studenti si rifiutano di fare cento metri per consultare direttamente in biblioteca l’articolo di un’importante rivista? Dallo scenario presentato in questo lavoro, possiamo constatare che lungo tutta la nostra storia la gran parte delle informazioni di cui abbiamo bisogno ci giungono senza bisogno di uno sforzo attivo per ottenerle. Immaginiamo l’uomo cacciatore-raccoglitore: cresciuto nella famiglia o nel clan, egli acquisisce la maggioranza delle sue conoscenze attraverso la relazione con i propri pari e con l’ambiente, vale a dire attraverso l’acquisizione passiva (being aware) e il monitoraggio (monitoring). […]
Nella vita moderna, la ricerca diretta di informazioni è ulteriormente complicata da un altro fattore. È soltanto negli ultimi 200 anni che l’universo delle informazioni disponibili (codificate nei vari supporti) è cresciuto a tal punto da richiedere lo sviluppo di strumenti sofisticati e complessi per l’accesso ad esso. Così, le persone assuefatte a forme passive di apprendimento non soltanto devono mutare strategia – evolvendo verso forme di ricerca attiva dell’informazione – ma devono anche acquisire una serie di competenze complementari per essere in grado di svolgere tale compito, senza nessuna garanzia che questo sforzo produrrà un risultato. (Marcia Bates, Toward an integrated model of information seeking and searching).
Push vs. pull
L’aumento esponenziale delle informazioni, dei prodotti e delle scelte che caratterizza la società degli ultimi decenni porta con sé indubbi vantaggi quanto alla disponibilità di informazioni e beni, ma rende anche più complessa la procedura di ricerca e selezione dell’oggetto del nostro bisogno (specie se l’obiettivo non è ben conosciuto). Ecco perché in questo scenario la semplicità, la possibilità di restringere le opzioni di scelta in base al contesto, o (ancora meglio) la possibilità che siano le informazioni e i prodotti stessi d’interesse a venire verso di noi (anziché viceversa) acquistano un valore cruciale. È la cosiddetta modalità push.
Il principio del minimo sforzo di Marcia Bates trova riscontro fra l’altro anche nelle affermazioni di Steve Krug sul concetto di satisficing
“soddisfacimento col minimo sforzo” (fusione dei verbi inglesi satisfy e suffice):
nella maggior parte dei casi non facciamo la scelta migliore – scegliamo la prima opzione ragionevole, adottando una strategia nota col nome di satisficing. […]
Pur avendo osservato questo comportamento per anni, la sua valenza non mi era stata davvero chiara fino alla lettura del libro di Gary Klein Sources of Power: How People Make Decisions. Klein ha trascorso 15 anni nello studio sul campo dei processi decisionali: come le persone (pompieri, piloti, campioni di scacchi e operatori di centrali nucleari) prendono decisioni fortemente rischiose in ambienti reali sotto pressione di tempo, con obiettivi incerti, informazioni limitate e in condizioni di continuo mutamento. [… Queste persone] prendevano il primo piano ragionevolmente adeguato che veniva loro in mente e passavano mentalmente in rassegna i possibili problemi. Se non ne vedevano, lo mettevano in pratica (Steve Krug, Don’t make me think. Un approccio di buon senso all’usabilità web).
Per approfondire
Sul web come uomini delle caverne? Dalla raccolta delle bacche alla navigazione